17 giugno 2006

ZAINAB SALBI, DALLA DITTATURA DI SUO ZIO SADDAM A “WOMEN FOR WOMEN” DA LEI FONDATA PER LE DONNE VITTIME DELLE GUERRE NEL MONDO


di Massimiliano Melilli

da www.articolo21.info



Questa è la storia di una ragazza felice nell’Iraq che precede l’avvento di Saddam Hussein. Zainab Salbi aveva nove anni quando suo padre diventò il pilota dell’aereo personale Rais. E’ lo stesso anno che Saddam diventa presidente-dittatore e nel giro di un anno coinvolge il Paese in una guerra devastante contro l’Iran durata quindici anni. Prende le mosse da questo spaccato un racconto che non è solo la storia di un riscatto personale ma anche la testimonianza inedita su un leader fanatico, che per Zainab diventa “amo” ovvero zio. Sullo sfondo, gli atti e misfatti di un dittatore che si contaminano alle vicende della famiglia di Zainab. Il suo riscatto inizia da un viaggio negli Stati Uniti, dagli studi, dagli incontri. Ma la vita, spesso, le ha riservato la conoscenza del volto deteriore del fondamentalismo islamico, subìto sulla pelle di donna e moglie, contro la sua volontà. Adesso Zainab, dopo aver sedimentato dolori e ricordi, ha scritto un libro appassionato, duro, senza fronzoli. Un testo che compisce dritto al cuore per le verità che racconta. Longanesi lo ha meritoriamente tradotto e pubblicato in Italia. Titolo: Una donna tra i due mondi. In blilico tra prigionia e libertà. La mia vita all’ombra di Saddam. Ad affiancarla in questa narrazione drammatica e coinvolgente è Laurie Becklung, giornalista e scrittrice del Los Angeles Times. Articolo 21 ha intervistato Zainab Salb. Quello che segue è il resoconto integrale della conversazione.

Zainab Salbi, lei ha avuto – per sua stessa ammissione – un’infanzia felice. Sullo sfondo, una vita agiata in Iraq. Poi, a nove anni, quando Saddam Hussein prende il potere in Iraq, la sua esistenza e quella della sua famiglia, subiscono un cambiamento inquietante. Suo padre, pilota della compagnia di bandiera irachena, diventa adesso il ‘pilota personale’ di Saddam. E’ l’inizio di una tragedia. Lo stesso Saddam, familiarmente si fa chiamare “Amo”, zio. Seguono atti e misfatti di una dittatura che lei ha conosciuto da un osservatorio speciale. Che ricordi ha di quegli anni?

“La paura. Avevamo paura gli uni degli altri. Da bambini ci dicevano di chiamarlo zio, amo, di cantare per lui, ballare per lui. Gli insegnanti ci chiedevano che cosa pensassero i nostri genitori dello zio Saddam. Ci sono un sacco di storie terrificanti di genitori finiti in prigione a causa di ciò che i loro figli hanno detto, innocentemente. La paura era così diffusa che divenne quasi parte di noi. Era come se ci fosse stata iniettata dentro. Avevamo paura dei vicini, delle pareti, delle ombre. Ci sono storie di persone che hanno denunciato i propri familiari, i vicini, i loro migliori amici. Si poteva finire in prigione per una battuta, perché si aveva in mano una rivista straniera oppure per un’espressione del viso sbagliata nel momento sbagliato. Le regole non avevano regole. C’erano soltanto gli umori di Saddam. Nel mio caso, essere più vicini a lui e vederlo tutte le settimane ci rendeva molto più a rischio. Saddam raccontava di come aveva assassinato membri della sua famiglia, amici, colleghi e amanti. Nessuno era immune o al riparo dalla sua crudeltà”.

Lei ha vissuto sulla sua pelle gli orrori collettivi della guerra contro l’Iran ma anche la violenza personale di un matrimonio combinato, imposto da sua madre. Una ferita che difficilmente potrà essere rimarginata. Oggi, quell’uomo e sua madre, che ruolo hanno nella sua vita?

“E’ stato il processo della scrittura del libro che mi ha consentito di scendere a patti con il passato e di avvicinarmi ai miei genitori. Sono uscita da questa esperienza con molto più amore e rispetto per loro. Non invidio la loro situazione. Non sono sicura che avrei il coraggio di comportarmi in modo diverso da come si sono comportati loro. Mi sono resa conto di quanto coraggio abbiano dimostrato in determinati momenti… e di come si sono lentamente arresi, proprio come me. Quante persone conosciamo che sono infelici del loro lavoro, ma hanno troppa paura di lasciarlo per il rischio dell’insicurezza finanziaria? Ho capito che ciò che i miei genitori hanno dovuto affrontare è simile a ciò che capita a tutti, in ogni parte del mondo… l’unica differenza è che loro avevano a che fare con uno dei peggiori dittatori della storia moderna. Scrivere questo libro è un’esperienza che mi ha dato molto umiltà. Ho tratto coraggio dalle donne che aiutavo tramite Women for Women International. Sono le vittime degli stupri in Congo che mi hanno insegnato il coraggio di parlare”.

Signora Salbi, è come se tutta la violenza che ha sperimentato nella sua vita, per incanto, si fosse trasformata su di lei, in un dono di amore e pace da estendere al Prossimo. Nel 1995, ha ricevuto onorificenze dal presidente degli Stati Uniti Bill Clinton mentre l’anno scorso, “Time” l’ha premiata per la sua opera filantropica. Sullo sfondo, “Women for Women International” l’associazione che lei ha fondato per fornire aiuto psicologico ed economico alle donne vittime delle guerre nel mondo. Quali sono gli i prossimi obiettivi suoi e dell’associazione?
“Noi di Women for Women International c’impegniamo per costruire un mondo in cui nessuna donna sia socialmente, politicamente o economicamente esclusa. Un mondo in cui nessuna donna sia socialmente, politicamente o economicamente esclusa. Un mondo in cui le donne possano vivere in pace o creare ambienti sicuri per loro e per crescere i loro figli. Al momento stiamo aprendo una sede in Sudan, dove progettiamo di formare migliaia di donne, aiutandole a passare da vittime e sopravvissute e a cittadine attive, in modo che possano assumere un ruolo attivo nella ricostruzione del loro Paese. Crediamo veramente che si possa fare la differenza nel mondo, una donna per volta. Per saperne di più su come aiutare una donna sopravvissuta a una guerra, si può consultare www.womenforwomen.org.

In più di dieci anni di attività, l’associazione ha aiutato quasi 60.000 donne, dall’Afghanistan alla Bosnia-Erzegovina, realtà che l’ha vista impegnata personalmente sul versante della solidarietà all’Iraq al Ruanda. Fra aiuti e prestiti, risultano distribuiti complessivamente 24 milioni di dollari. Quanto c’è ancora da fare prima che le donne smettano di essere bottino di guerra e oggetto di violenze nei conflitti moderni?
Purtroppo, c’è moltissimo lavoro da fare. Oggi, in questo stesso istante, ci sono donne che vengono stuprate nella Repubblica Democratica del Congo. I soldati che si nascondono nella boscaglia continuano a fare scorrerie nei villaggi, in cerca di cibo e donne. Ma nelle comunità in cui opera Women for Women International, la differenza è che le donne parlano di ciò che succede loro. Non vivono più nell’isolamento e protestano contro la violenza in molti modi: tengono discorsi in pubblico davanti al governatore, si denudano per protesta, costringono gli uomini a vergognarsi, raccontando ciò che sta succedendo alle donne nel Paese. Storicamente, le donne che sopravvivono alle violenze sono quelle che provocano un vero cambiamento. Se non fosse stato per le donne del Ruanda, della Bosnia e della Croazia che hanno raccontato ciò che è accaduto loro, la legge internazionale non sarebbe mai cambiata”.

Un’ultima domanda. Lei è un esempio di donna impegnata che ha fatto valere i propri diritti in un contesto difficile e che si batte per i diritti femminili nelle società interessate a guerre e conflitti. In Italia, da tempo assistiamo ad un dibattito, spesso molto ipocrita, sulle “quote rosa” ovvero la pari opportunità per le donne. La deriva, purtroppo, è quella del potere politico ancora saldamente in mano agli uomini. Ha un consiglio da darci per uscire da questa “palude”?
“Noi di Women for Women International diciamo: perché esistano paesi forti ci vogliono donne forti. Quando ho incontrato il presidente del Ruanda, il mese scorso, lui ha detto che se ci tiene ai diritti delle donne non è soltanto per il bene delle donne, che naturalmente se lo meritano, ma anche per il bene dell’intero Paese. Se le donne non sono coinvolte ai tavoli dei negoziati, a tutti i livelli della società, la società sarà più debole. La voce delle donne deve essere ascoltata”.

1 commento:

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