07 aprile 2010

INTERVISTA A LILLI GRUBER: "puntare sull'intelligenza in tempi di velinismo è una bella scommessa"



di Iva Testa e Grazia Gaspari

Abbiamo conosciuto Lilli Gruber all’interno dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, dove abbiamo lavorato a lungo per una cultura delle regole (concorsi pubblici per le assunzioni, carriere trasparenti, diritti dei precari) e soprattutto per i diritti delle donne, giornaliste e non, tenute fino a pochi anni fa ai margini della professione e della carriera.

Lilli Gruber fu la prima donna a condurre in modo diverso, più moderno, un telegiornale nell’edizione più importante. Dette un tocco di diversità e di colore a dei telegiornali condotti quasi esclusivamente da uomini. Non solo, la stessa carriera redazionale era preclusa alle donne: pochissimi capi servizio, rarissimi capi redattori, nessun corrispondente, non parliamo di vicedirettori o direttori.

Le nostre battaglie, di pari passo con quelle del più ampio movimento femmminile, hanno portato avanti un po’ la pagina della storia e qualche obiettivo lo abbiamo raggiunto.

Tuttavia ancora oggi “uomini meno bravi e meno preparati, ma più abili nella ricerca degli sponsor politici giusti e insuperabili nella loro capacità di cambiare bandiera al momento giusto” continuano ad occupare posti di comando o a dirigere situazioni delicate.

“A parità di capacità professionale, – per dirla con Lilli Gruber - gli uomini dovrebbero davvero stare fermi un giro per cedere il passo a una donna E' una questione di giustizia e intelligenza politica. Oggi è impossibile gestire la complessità delle società globali senza il fondamentale contributo delle competenze femminili”

Abbiamo scambiato con lei opimioni e punti di vista. Sempre intelligente, vivace, preparata e bella, a dimostrazione – ora che vanno tanto di moda le veline - che oltre la bellezza c’è di più!

La prima considerazione è sui media.

“La trasformazione dei media è ancora in corso, ma le conseguenze del cambiamento sono già evidenti – ci dice - Basta guardare alla crisi dell’editoria negli Stati Uniti, che rischia di far chiudere numerosi quotidiani e di lasciare anche molti giornalisti senza lavoro. Accettare la sfida delle nuove tecnologie significa imparare il linguaggio del web, sfruttare strumenti come i video e le chat, interagire con i social-network.

Anche su questo fronte l’America si conferma all’avanguardia: l’amministrazione Obama ha scelto di condividere on-line tutti i suoi contenuti “per stare in contatto e dialogare con la gente”, ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Stato, Gordon Duguid, perché “i social media sono una nuova audience”. E quindi elettori da conquistare. Chi non coglierà le nuove opportunità multimediali è destinato a essere tagliato fuori. E l’Italia, che ha meno del 50% di famiglie collegate a Internet, rischia di perdere anche questo treno.



Ti sembra che sia migliorata, qualitativamente e per quanto riguarda la quantità, la presenza delle donne nei media?

Le donne competenti che fanno televisione ci sono. Certo puntare sull’intelligenza, sulla professionalità e sulla sobrietà nell’era del “velinismo” è una bella scommessa. Troppo spesso i media restituiscono un’idea distorta, ci fanno credere che l’esibizione del corpo, e più in generale della sessualità, siano un mezzo per arrivare dove si vuole, imboccando scorciatoie apparentemente più gratificanti. La politologa Sofia Ventura è stata implacabile nella sua analisi sulla nostra cultura politica quando ha scritto che essa “sembra incapace di liberarsi di stereotipi ormai superati in altri Paesi e, al tempo stesso, sta subendo una vera e propria involuzione, laddove legittima un nuovo modello ‘vincente’ di donna che assomiglia molto, troppo, al modello della prostituta”.

Il nostro corpo è stato maltrattato e umiliato abbastanza: è arrivato il momento di riprendercelo, assieme alla nostra dignità di persone.




Nel tuo libro “ Streghe” sostieni che le donne arrancano verso il potere..E' colpa delle leggi o di handicap culturali? Come sono le leggi di parità nell'europarlamento?

Di parità tra i due sessi al Parlamento Europeo se ne è discusso molto e, per fortuna, se ne continua ancora a discutere. Sicuramente molto più che in Italia. Lo scorso 8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della Donna, è stata presentata la 'Carta delle Donne' lanciata dal presidente Barroso per "integrare il principio dell'eguaglianza di genere" in tutte le politiche comunitarie per i prossimi 5 anni.

La Giornata è stata anche celebrata con un dibattito sulla disparità di salario tra uomini e donne, la violenza e la partecipazione femminile alla vita politica. "La discriminazione nella società o nel lavoro - ha detto il presidente del Parlamento Jerzy Buzek - dovrebbe appartenere al passato". Anche Diana Wallis, Liberale inglese, ha sottolineato la necessità di una presenza femminile più consistente al Parlamento, ricordando che tuttavia, con il trend attuale, ci vorranno almeno 200 anni per raggiungere la parità! A cominciare dal salario: gli ultimi dati confermano che, nonostante costituiscano il 50% della popolazione, le donne guadagnano solamente il 10% del reddito mondiale

La strada delle pari opportunità, inutile dirlo, è ancora lunga, ma cerchiamo di vedere anche il bicchiere mezzo pieno: in Europa, esclusa l’Italia che è il fanalino di coda, ci sono importanti segnali di cambiamento.



Hai assistito direttamente a momenti molto importanti della vita mondiale, come il crollo del muro di Berlino... A a che punto siamo?

Quella notte del 9 novembre 1989 nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il Muro sarebbe caduto. Chi oggi dice il contrario mente! A 20 anni dall’evento che ha sancito la fine della Guerra Fredda e della contrapposizione del mondo in due blocchi è evidente che il processo di integrazione delle due Germanie è più complesso del previsto. Per molti tedeschi dell’Est più che di una riunificazione si è trattato di una vera e propria annessione: si sono ritrovati a fare i conti con un capitalismo molto diverso da quello che avevano sempre sognato.

“All’improvviso”, come mi ha spiegato Ingo Schulze, noto scrittore della ex Germania comunista, “è stato smantellato il nostro sistema di protezione sociale che ha creato armate di nuovi poveri. Per lungo tempo, poi, siamo stati tutti sospettati di aver collaborato col regime”. Da entrambe le parti ci sono ancora molti risentimenti, ma nella generazione post-Muro esiste ormai un’identità tedesca comune. I giovani si considerano sempre più “un” solo popolo.

La stella di Obama sembra calare sotto i colpi della recessione e delle riforme mancate..L'Europa deve farcela da sola ?

Quando è stato eletto primo presidente nero degli Stati Uniti, le aspettative e le speranze su Barack Obama erano altissime. Obama è arrivato alla Casa Bianca con il più forte sostegno mai assicurato a un candidato democratico negli ultimi 30 anni: la favola del giovane afroamericano che diventa l’uomo più potente del mondo, grazie al suo coraggio, alle sue capacità e alla sua determinazione, diventava realtà. Ma l’eredità lasciatagli da otto anni di amministrazione di George W.Bush è stata disastrosa su molti fronti: quello economico con la più grave crisi dal 1929, quello diplomatico con due guerre aperte in Iraq e Afghanistan, quello sociale con un Paese diviso da profonde lacerazioni.

In questo contesto il percorso del Presidente afroamericano per riformare il sistema sanitario è stato tutto in salita e ha messo in gioco la sua popolarità.

L’Europa allargata si trova da tempo in un’empasse politico-istituzionale. Avere aperto l’Unione a 27 Paesi membri senza aver adeguato le strutture per un governo unificato è stata un’operazione molto rischiosa: ha allontanato ulteriormente i cittadini da uno straordinario progetto che garantisce pace e prosperità da oltre 60 anni, e ha reso in alcuni casi l’Europa molto vulnerabile, come dimostra la vicenda della Grecia. Il rischio di bancarotta del Paese ellenico sta mettendo a dura prova la tenuta dell’euro e ha portato all’intervento di un’istituzione esterna come il Fondo Monetario Internazionale. Con uno scacco all’autonomia della Bce, la Banca Centrale Europea. Per farcela da sola, l’Europa deve dotarsi urgentemente degli strumenti che favoriscano decisioni unitarie, soprattutto in tempi di crisi. Questo significa che ognuno dei 27 Paesi deve rinunciare a un pezzetto della sua sovranità.

E le donne in tutto questo? Cosa possono fare?


Possono fare molto, a cominciare proprio dalla crisi, come dimostrano tutti gli studi internazionali più accreditati. Nel suo bel libro “Rivoluzione Womenomics”, Avivah Wittemberg Cox, una delle più autorevoli esperte a livello mondiale sulla gestione della differenza di genere nelle aziende, spiega che oggi le donne costituiscono un immenso serbatoio di talento per il mondo del lavoro e per l’economia globale. Un miglior equilibrio tra i due sessi ad esempio nelle imprese, ma più in generale nei ruoli decisionali, garantisce sempre risultati migliori. Quella che ci serve è una vera e propria rivoluzione culturale, perché le donne non sono un problema, ma rappresentano una preziosa risorsa alla quale nessuna economia si può più permettere di rinunciare. Ma questa è una battaglia che possiamo vincere solo insieme agli uomini. Con buona pace dei machisti e delle femministe di retroguardia.

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