19 febbraio 2013

LA FORZA DELLO SPIRITO





Le dimissioni di Papa Benedetto XVI determineranno un futuro inedito per la chiesa cattolica a cominciare dal prossimo conclave.  Pubblichiamo pertanto una serie di riflessioni sul tema.


di Rita A. Cugola  (http://www.rita-madwords.blogspot.it/) 


Che l'abdicazione di papa Benedetto XVI rappresenti un evento storico della nostra epoca è un fatto incontestabile. Che invece le motivazioni alla base di un gesto così eclatante possano derivare dalle  difficoltà proprie dell'esistenza  è invece del tutto opinabile.

Voler credere che  il pontefice sia stato indotto a lasciare la guida della Chiesa per ragioni esclusivamente legate alla  stanchezza fisica, all'età avanzata e al precario stato di salute è semplicemente insistere nel tentativo di banalizzare una vicenda che dovrebbe invece indurre a profonde riflessioni.


Da tempo in subbuglio tra guerre intestine di potere, scandali di vasta eco (pedofilia dilagante), misteri irrisolti (ad esempio quello legato alla sparizione di Emanuela Orlandi, alla morte enigmatica di Giovanni Paolo I a soli 33 giorni dalla sua elezione al soglio petrino o all'assassinio nebuloso di Alois Estermann, Gladys Meza Romero e della guardia svizzera Cédric Tournay),  interessi politico-finanziari di portata immensa e malversazioni, il Vaticano  sembra aver gradualmente perso la connotazione religiosa che in quanto sede suprema della massima autorità spirituale del mondo cristiano sarebbe stato tenuto a incarnare agli occhi dei fedeli. 

Il papa stava infatti diventando più un capo di stato effettivo che un pastore di anime. Il confinre tra potere temporale e potere spirituale  si era terribilmente assottigliato, in un periodo di continui mutamenti in ogni ambito della vita umana. La Chiesa rischiava di perdere ulteriormente terreno sul piano della stabilità e questo avrebbe potuto avere ripercussioni mondiali non indifferenti dal punto di vista della propria credibilità. L'affaire dei documenti top secret trafugati dall'uffico papale, poi, non avev  certo contribuito ad allontanare la pericolosa e tremenda bufera sctenatasi all'ombra delle mura vaticane

Tra un riacceso bisogno di spiritualità e un laicismo dilagante occorreva dunque un polso di ferro autorevole. Occorreva una personalità immune alle pressioni esterne di lobbies o di opposte fazioni perennemente in lotta tra loro. Occorreva, insomma, la presenza di una figura di spicco capace di superare anche le peggiori espressioni di bieca materialità per ascendere alle più alte vette della consapevolezza, di sè, degli altri e soprattutto di Dio. 

Benedetto XVI non era forse riuscito ad  agire come avrebbe desiderato: troppi ostacoli sul suo cammino verso la Verità.

L'oggettività circostante era perciò giunta a rappresentare davvero un grosso rischio per l'integrità spirituale di un uomo di fede come lui, dedito allo studio e alla meditazione, così poco avverso ai richiami della  mondanità e alla superficialità di un contesto ormai irrimediabilmente corrotto.

Impotente a frenare la caduta dell'istituzione che simbolicamente incarnava nell'immaginario collettivo del suo popolo e nell'estremo sforzo di salvare se stesso e il futuro della chiesa, il papa ha preferito abdicare al mandato conferitogli il 19 aprile 2005, regalando all'umanità la possibiltà concreta di soffermarsi a riflettere sulla degenerazione di cui è divenuta preda, sotto il profilo sia  etico che sociale.
 
   L'eredità morale che si evince dalla decisione  - a lungo ponderata - di Benedetto XVI è importantissima e incommensurabiule, per tutti gli individui di buona volontà che saranno disposti ad accoglierla e a farla propria. Un'esistenza vissuta alla continua ricerca del benessere è destinata a creare un'insoddisfazione crescente e dunque una perenne infelicità; al contrario, uno stile di vita semplice, la capacità di sapersi accontentare di ciò che si possiede e di allontanarsi dalle tentazioni venali per ascoltare la voce dello spirito è qualcosa che può regalare grandi e durature soddisfazioni. 
   

12 febbraio 2013

SE LA TUNISIA AVRA' UN VOLTO DEMOCRATICO SARA' QUELLO DI BASMA: GRANDE NEL SUO DOLORE, DEGNITOSO NELLA SOFFERENZA, FIERO NEL SUA BATTAGLIA


da Tunisi,  Patrizia Mancini 

Basma Khalfaoui, la vedova di Chokri Belaid, il leader dell'opposizione laica  ucciso nei giorni scorsi, avvocatessa e militante dell’Association des femmes démocrates, è diventata in questi giorni il simbolo della resistenza tunisina contro la violenza politica e il tradimento delle istanze rivoluzionarie 



La sua immagine con il braccio alzato nel gesto della vittoria ha fatto il giro del mondo e rimarrà impressa per sempre nella memoria collettiva del popolo tunisino. Da due giorni Basma manifesta davanti alla sede dell’Assemblea Costituente tunisina per chiedere le dimissioni del governo la cui politica sulla sicurezza "a senso unico", ha  in qualche modo lasciato spazio alla violenza politica che ha raggiunto il suo apice con l’assassinio di Chokri Belaid. 


E oggi, 12 febbraio 2012, Besma ha portato la sua solidarietà a un’altra vedova, la signora Lazar, moglie dell’agente di polizia morto in circostanze poco chiare durante i disordini registrati all’indomani dell’uccisione del leader marxista. 



Ma l’avvenimento più straordinario di queste giornate tristi e turbolente è rappresentato senz’altro dalla partecipazione massiccia delle donne al corteo funebre e alla sepoltura di Belaid.  Infatti, contrariamente a quanto riportato da alcuni giornali italiani, come "La Repubblica", più della metà delle centinaia di migliaia di persone che hanno accompagnato la salma del militante assassinato erano donne che hanno tra l'altro rappresentato l’ala più combattiva e rumorosa della marcia verso il cimitero di Djallez, così come era già accaduto durante le manifestazioni contro Ben Alì. 

Tra l'altro, episodio insolito e del tutto straordinario rispetto alla tradizione del rito funebre musulmano che vuole le donne assenti alla preghiera nel giorno della sepoltura anche in caso di una sepoltura femminile, alle esequie hanno partecipato Basma e la figlia maggiore del leader assassinato.  

E a poco  servirà,  probabilmente,  il “richiamo all’ordine” del Ministro degli Affari religiosi Nourredine Khadmi che ha per l'appunto condannato come deviante ai precetti dell'Islam,  la presenza femminile al funerale. Infatti ha già risposto Hamma Hammami, portavoce del Fronte Popolare, che lo ha accusato di non essere credibile, dove era infatti quando in passato furono distrutti i mausolei dei santi tunisini e le copie del Corano in essi custoditi? Quei gesti vandalici e oltraggiosi non erano un affronto all'Islam?



Dunque una linea rossa è stata oltrepassata dalle donne in questi giorni. Non è stata la prima, certamente non sarà l’ultima. E’ innegabile  come altre azioni femminili abbiano segnato le vicende post rivoluzionarie e introdotto elementi di speranza e di  contraddizione nelle dinamiche sociali. Il 13 agosto 2012, ad esempio,  in pieno periodo di Ramadan, un’enorme manifestazione nella capitale ha contestato e fatto ritirare una
proposta di Nahdha, il  partito moderato islamico,  di introdurre nella nuova costituzione il concetto di complementarietà della donna nei confronti dell’uomo, emanazione di una lettura letterale del Corano. 

E ancora: l'episodio della giovane violentata da due poliziotti alla periferia di Tunisi e inizialmente accusata di “oltraggio al pudore” perché sorpresa in auto con il fidanzato, ha mobilitato migliaia di donne e ha portato al ritiro delle assurde accuse nei confronti della ragazza e alla condanna e al carcere per i due violentatori. La ragazza ha avuto anche il coraggio di apparire, a volto coperto, in una trasmissione televisiva in cui ha narrato la sua vicenda: una prima assoluta nella storia della televisione nazionale. 

Non è un caso poi se sia stata una giovane universitaria, Khaoula Rchidi, l’unica ad aver avuto il coraggio di affrontare un fondamentalista che aveva sostituito la bandiera tunisina con il drappo nero salafita sul tetto dell’Università della Manouba. 

E davanti ai tribunali militari sono sempre loro: madri, mogli e sorelle delle vittime della rivoluzione che ormai da quasi due anni reclamano giustizia e verità per i loro cari. Come Fatma, la madre di Ahmed, freddato a Tunisi nel gennaio 2011 da un cecchino, la quale ha chiesto pubblicamente al presidente della Repubblica Moncef Marzouki di togliersi dal bavero della giacca la medaglietta con l’immagine di suo figlio, poiché ancora a oggi il governo non è stato in grado di dare risposte su quell’uccisione. 



Come non citare poi  l’ostinazione delle madri dei ragazzi dispersi all’indomani della loro fortunosa partenza per Lampedusa e dei quali si è persa ogni traccia su entrambe le sponde? Ancora non si rassegnano e chiedono conto sia della sorte dei loro figli che delle politiche migratorie dei due paesi. 

La Tunisia sta attraversando il momento più difficile del periodo post rivoluzionario e il suo superamento dipende da tutti, governo e opposizioni. E l’esempio di Basma Khalfaoui deve dare un nuovo coraggio, una nuova spinta, un nuovo impulso a tutti i tunisini. Le donne, loro, già lo sanno.

11 febbraio 2013

SIAMO UOMINI NON SUPERUOMINI..... E RATZINGHER MANDA IN SOFFITTA IL DOGMA DI PIO IX





di Grazia Gaspari 

C‘è chi nella storia dell’ultimo secolo di Santa Romana Chiesa è rimasto famoso per aver voluto un Concilio come papa Giovanni; chi per aver interloquito con i terroristi delle Brigate Rosse per la salvezza di Moro, come Paolo VI; chi per aver avuto un pontificato brevissimo, come papa Luciani; chi per essere venuto da oltre cortina, aver avuto un lungo pontificato ed essersi preso addirittura una pallottola in San Pietro, come Giovanni Paolo II. 

Papa Ratzingher in questa galleria di glorie volute e non volute, di accadimenti drammatici, di tiri mancini del destino, ha rischiato un pontificato di basso profilo. Dismessi i panni del grande teologo dei tempi della Congregazione della Fede, la tunica bianca non è riuscita a tradurre in evidenza pratica la sua visione filosofica e spirituale. 

Comprensivo, serio, coerente e sensibile non ha impresso il proprio colore al pontificato, anzi, stava rischiando di essere sovrastato dagli intrighi e dalle dinamiche del palazzo, uno su tutti, il caso del banchiere, suo caro amico, Gotti Tedeschi . 

Con le dimissioni, Benedetto XVI ha surclassato tutti i suoi predecessori ed è sicuramente al primo posto nella high parade dei papi più famosi. Ironia a parte, nessuno prima aveva messo in pratica un atto del genere. “Cocciuto” come un vero tedesco, non deve aver dato ascolto a nessuno. 

Le sue dimissioni aprono la strada a innovazioni che potremmo definire “rivoluzionarie” per l’ambiente … a partire dall’abbassamento dell’età pensionabile (attualmente 80 anni per i cardinali) che è costata una serie infinita di polemiche e di grossi malumori all’interno delle gerarchie, al ringiovanimento di apparati e funzioni. 

Ma non si tratta solo di innovazioni diciamo così amministrative, quanto di innovazioni dottrinarie di non poco conto. Fino ad oggi, infatti, nessun pontefice, nemmeno papa Giovanni, aveva messo mano al dogma dell’infallibilità del papa proclamato da Pio IX. Dogma che stabilisce la superiorità assoluta del pontefice in ordine alla dottrina e dunque all’impossibilità di criticare o modificare direttamente i decreti papalini. 

Si tratta di un dogma che è costato molto al Vaticano, basti pensare ai problemi con le chiese evangeliche per non parlare del dialogo con le altre religioni, in primis quelle monoteiste. Un dogma che ha pesato e pesa come un macigno e che ha causato un’emorragia continua di consensi tra fedeli e tra fedeli e teologi, non ultimo il caso di Hans Kung. 

Benedetto XVI poteva rimanere e delegare ad altri o all’apparato, come hanno fatto i suoi predecessori, parte del suo potere … invece ha preferito lasciare.
  

“… Nel mondo di oggi – ha detto papa Ratzingher - soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice". 

L’annuncio ha colpito il mondo intero. Nessuno o pochi hanno capito il suo gesto, la sua rinuncia. Si percepisce solo che l'atto è, come lo definisce lo stesso Benedetto XVI, “grave”. E allora perché non affidarsi a Dio, allo Spirito e concludere la propria esistenza su quello scomodo scranno che lui stesso aveva accettato non più giovanissimo? 

Non voglio lanciarmi alla ricerca dei perché o del per come, al momento si rischia solo di dar corpo alla fantasia personale, tuttavia non si può fare a meno di notare oltre al gesto rivoluzionario dell’ecclesiastico, il sano realismo dell’uomo e del teologo: lo spirito opera attraverso le persone e la legge di causa effetto, nessuno ne è immune, nessuno è al di sopra … papa compreso: transeat gloria mundi … tempus fugit.

09 febbraio 2013

Oltre un milione di persone ai funerali di Belaid. Manifestazioni anche in Italia







Un servizio dalla Tunisia di Patrizia Mancini



Appresa la notizia via telefono da un compagno italiano che come me vive qui, le prime immagini che mi sono venute in mente sono state quelle delle bambine di Chokri e Besma che giocano nel giardinetto della nostra casa a Bou M’Hel. 

Non c’è stato nulla di politico nella mia prima reazione, ma molto di personale e quindi più doloroso e lancinante. Così come l’immagine di Chokri, un fascio di giornali sotto il braccio, che esce dal portone della sua precedente abitazione al centro di Tunisi. Più tardi, sull’avenue Bourghiba, con le lacrime agli occhi e in mezzo a migliaia di tunisini scesi in strada per urlare il loro sdegno e la loro rabbia, il dolore si trasforma in un’angosciante consapevolezza della gravità del momento e delle conseguenze che quest’assassinio politico potrà avere sulle sorti del paese. 


L’hanno aspettato all’uscita di casa, in due o in quattro, ancora non è certo, quindi del tutto appurata la premeditazione e la precisione dell’intento omicida. Se gli italiani conservano nella  memoria un lugubre e lungo elenco di omicidi fascisti o mafiosi, altrettanto non si può dire del popolo tunisino che per la prima volta (l’assassinio di Farhat Hachad, leader anticolonialista e fondatore del sindacato tunisino fu opera della Main Rouge, un’organizzazione terrorista francese) si trova di fronte ad un fenomeno del genere. 

Di questo soprattutto si parla sul viale, mentre arrivano a centinaia gli studenti che hanno abbandonato spontaneamente gli edifici scolastici e le aule universitarie per unirsi al resto dei manifestanti, di fronte al Ministero degli Interni. Arrivano anche le notizie di attacchi alle sedi del partito Ennahdha a Sousse, a Beja e in altre città. Le reazioni a caldo, infatti, sono dirette contro il principale partito di governo che ben poco ha fatto da quando è al potere per tenere unito il paese e per contrastare l’ondata di violenza politica che ormai da troppo tempo attraversa la Tunisia, rendendo arduo il processo di democratizzazione. 

Se di fatto  la dinamica conflitto-repressione delle lotte può ritenersi simile a quelle in atto in altri  paesi  cosiddetti  democratici, i contrasti fra le diverse fazioni, l’insulto,  l’aggressione fisica e verbale del “nemico” arrivano spesso al parossismo e a gravi conseguenze, così come è accaduto a Tataouine qualche mese fa in cui lo scontro fisico fra membri della cosiddetta Lega per la protezione della rivoluzione ha portato al linciaggio e alla uccisione di un leader regionale di Nida Tounes, principale partito dell’opposizione a Ennahdha. 

Ma è proprio  di questo che si discute sull’avenue: del salto di qualità che è stato compiuto per quanto concerne l’attentato a Chokri Belaid, un cambiamento della strategia  che mette semplicemente i brividi. Ma che porta anche ad interrogarsi sui mandanti dell’uccisione del leader comunista. 

La commozione e la rabbia sono ancora troppo vivi perché la lucidità dell’analisi prenda il sopravvento. Di certo, tutti pensano che la responsabilità politica e morale sia del governo della troika, in particolare del partito islamico Ennahdha che, da quando è al governo, ha applicato la linea del laissez faire nei confronti dei sedicenti comitati per la protezione della rivoluzione e non ha mai contrastato seriamente, tramite l’azione dei ministeri competenti (Interni e Giustizia), l’azione delle frange più violente del proprio partito o delle correnti salafite.

Mentre ipotesi più fantasmagoriche sui mandanti  si fanno strada fra i gruppetti che discutono  (Mossad, i servizi segreti siriani, Nida Tounes, Ben Alì) nel primo pomeriggio arriva l’ambulanza con la salma di Chokri Belaid e Besma, sua moglie e compagna di lotta, saluta con il gesto della vittoria le migliaia di persone presenti. 


Ma la polizia carica la folla e i lacrimogeni arrivano a colpire anche l’ambulanza, mentre gruppi di giovani si preparano alla battaglia contro la polizia col materiale disponibile sulla stessa strada: transenne, filo spinato divelto dalla cinta dell’Ambasciata francese, sassi e bottiglie di plastica. Ho visto la polizia tirare i lacrimogeni ad altezza d’uomo che solo per caso non hanno fatto feriti. E gli scontri si sono spostati per tutte le viuzze laterali fino a la place Barcellone, di fronte all’ambasciata italiana e da lì all’interno della stazione ferroviaria, fin sui binari da dove nessun treno per la banlieu sud è partito. 

Colonne di persone a piedi (fra cui io e mio marito) si sono dovute dirigere a piedi verso la cintura esterna di Tunisi per cercare un mezzo di trasporto e rientrare a casa. Dal taxi che fortunosamente abbiamo trovato,  per chilometri abbiamo visto donne e uomini a piedi dirigersi verso sud e a Djebel Jelloud la strada era bloccata da un barrage di pneumatici in fiamme . Questo infatti  è il villaggio poverissimo in cui la famiglia di origine di Chokri Belaid si era trasferita  dalla  regione di Jendouba,  il villaggio che si ribella, che protesta, che si indigna. Come tutta la Tunisia.






08 febbraio 2013

La Chiesa cattolica esorta il legislatore ad occuparsi delle coppie di fatto






di Iva Testa 

E' ormai tempo che i legislatori si occupino dei diritti delle coppie di fatto.


La dichiarazione può sembrare un pò scontata ma non affatto banale se a pronunciarla é monsignor Vincenzo Paglia, neo Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia. Dopo i ripetuti anatemi del Papa contro i matrimoni gay, la Santa Sede ribadisce questa posizione ma al tempo stesso fa un'apertura alla tutela legale di altre forme di convivenza. 


No alle nozze gay, dice Monsignor Paglia, ma si al riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto e omosessuali secondo il codice civile.

In queste parole c'é la chiave della soluzione. Per la Chiesa cattolica bisogna pescare nel codice  le fattispecie giuridiche necessarie e, magari, integrarle senza alcuna equiparazione con il matrimonio. La ricetta era già stata proposta otto anni fa dall'allora  Presidente della CEI, Camillo Ruini e servì come base di partenza per il disegno di legge formulato dal governo Prodi ma poi affossato dai contrasti interni alla variegata  maggioranza di centrosinistra.



Da allora in Italia nulla é stato fatto, ma il contesto sociale é di gran lunga cambiato.

I movimenti gay guardano agli esempi della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, dove divampa il dibattito sull'istituzione del matrimonio gay, mentre in Spagna é già legge dai tempi di Zapatero.

L'intransigenza della Santa Sede espone la Chiesa ad una pressione crescente. Basti pensare alla recente protesta delle attiviste ucraine femministe in Piazza San Pietro. Viene così rilanciata la vecchia proposta del Cardinale Ruini: cedere qualcosa per non perdere tutto. Con una importante novità: la Chiesa, dice Monsignor Paglia, é schierata per la prima volta  contro la discriminazione delle persone omosessuali nel mondo.